Fare il punto sull’innovazione del Paese oggi significa in primo luogo fare i conti una volta per tutte, sul piano produttivo, organizzativo, ma prima ancora culturale, con la rivoluzione digitale. L’occasione per un’improvvisa accelerazione è stata senza dubbio fornita dall’emergenza Covid-19. Un evento tragico, anche sul piano economico e sociale, che tuttavia ha rappresentato per il nostro Paese un significativo cambio di passo, costringendolo ad una marcia a tappe forzate, a partire dallo smart working ma non solo, in direzione di una più decisa digitalizzazione di attività e processi. L’Italia in questi mesi ha reagito alla gravità del momento gettando il cuore oltre l’ostacolo. E ciò è avvenuto anche rispetto all’uso delle nuove tecnologie. I presupposti per cogliere un’opportunità storica ed irripetibile per far compiere alla società italiana un balzo in avanti sulla strada della modernizzazione ci sono tutti. Il punto, semmai, riguarda l’insieme di azioni concrete e immediate che devono essere poste in essere per questa trasformazione fondamentale del sistema Italia.

Il Covid-19 ha accelerato il processo di trasformazione digitale intrapreso dall’Italia, ma per cogliere del tutto la possibilità offerta da questa crisi per fare il salto servono azioni concrete: ecco le priorità da affrontare

I numeri della digitalizzazione in Italia

Anzitutto, occorre essere consapevoli delle condizioni di partenza da cui prendiamo le mosse. Dati dell’Osservatorio Professionisti e Digital Innovation 2b2 del Politecnico di Milano mettono chiaramente in luce come il 34% delle imprese italiane presenti già oggi un alto livello di digitalizzazione per tecnologie e capitale umano, che nella maggior parte dei casi si contraddistingue anche per un’elevata sostenibilità ambientale della performance di impresa. Ad esse si deve poi aggiungere l’11% delle imprese che hanno comunque avviato la trasformazione digitalizzazione. Anche se il 55% delle aziende conserva un approccio prevalentemente reattivo, dimostrandosi tuttora incapaci di intendere il digitale come un fattore strategico per il proprio sviluppo. Appare quindi chiaro come il passaggio al digitale implichi soprattutto un cambio di atteggiamento culturale, che il sistema imprenditoriale del nostro paese, forse anche per le piccole dimensioni delle sue aziende, fatica ancora a compiere.

Sempre stando ai dati del Politecnico di Milano, le cose vanno meglio nel mondo delle professioni, dove gli studi professionali che fra il 2018 e il 2019 hanno investito più di 10 mila euro in tecnologie e attività digitali sono passati dal 5 al 25%. Peraltro, da un confronto comparato con due altri importanti paesi dell’Europa meridionale, cioè la Francia e la Spagna, emerge con chiarezza come il nostro paese, nonostante le dimensioni relativamente più piccole dei suoi studi professionali, presenti indicatori migliori, soprattutto rispetto alla gestione telematica di documenti e procedure. E ciò dovrebbe indurre un maggiore ottimismo rispetto alla possibilità che un più diffuso e capillare ingresso delle nuove tecnologie abbia modo di favorire un netto miglioramento delle prospettive di sviluppo del sistema Italia.

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